LA DEPILAZIONE
di
Mitì Vigliero Lami


 

Visto che siamo ancora in tempo di vacanze, di mare, di spiagge, mi lancio audacemente a trattare un argomento da tutti conosciuto e da moltissimi praticato: la depilazione. La vera cosa che differenzia fisicamente l'animale uomo dagli altri mammiferi è principalmente una sola; noi, rispetto a loro, siamo nudi, ossia abbiamo il corpo rivestito da pochissimi peli. Ma nonostante ciò è noto che una delle maggiori sofferenze sopportate in nome della bellezza da donne e - come ci è stato spiegato sino alla nausea gli squallidini eroi del Grande Fratello - anche dagli uomini, è quella della depilazione.

La nostra moderna civiltà pare aborrire ogni tipo pelo ed è per questo che, oltre rasoi d'ogni modello e marca, impazzano cerette, creme e saponi atti a sterminarlo in modo sicuro. Questo ci sta accomunando ad una visione orientaleggiante dei canoni estetici; turchi e indiani infatti, odiano sul corpo femminile qualsiasi pelo; testi religiosi raccomandano anche agli uomini di radersi il viso ogni quattro giorni e le altri parti del corpo ogni cinque (se viene usato il rasoio), dieci se i peli vengono strappati uno ad uno con le pinzette; operazione questa che, se dovesse per esempio esser fatta da Lucio Dalla, comporterebbe circa tre mesi.

Il moderno amore per il glabro, secondo alcuni psicologi, cela un latente desiderio di omologazione dei sessi, ottenuto tramite l'eliminazione di precise caratteristiche dei generi maschile e femminile...
In realtà i peli sono sempre stati abbastanza antipatici al genere umano; basta pensare ai modi di dire quali "avere del pelo sullo stomaco" o "non avere peli sulla lingua", che in ambedue i casi li connotano negativamente, o "mancare un pelo", che ne dimostra la piccolezza. Anche nel mondo delle credenze popolari sono discussi; in tutto il Nord, prima che l'estetica prendesse il sopravvento, si pensava che gli uomini molto villosi fossero prestanti e lussuriosi; quelli glabri, al contrario, casti e impotenti. Ovviamente questa convinzione era radicata fra razze umane fisicamente fornite di folto pelo; in quelle glabre come l'araba o l'africana, ad esempio, l'uomo dal corpo peloso era visto invece come una sorta di orco capace di ogni nefandezza. In realtà, proprio come nelle razze animali, il pelo sul corpo umano è più o meno presente a seconda che il clima della zona d'origine sia più o meno caldo. E se la natura ci ha cosparso di peli dalla testa in giù, l'ha fatto con la ragione precisa di proteggere, come nel caso di ascelle e inguine, delicatissimi apparati ghiandolari.

Però, come al solito, alla base del "pelo sì, pelo no" c'è soprattutto una questione di mode.

Sino ai primi del Novecento, ad esempio, ambo i sessi avevano un vero debole per le sopracciglia; più erano spesse, folte, larghe e irsute, più erano fascinose perché dimostravano carattere e passionalità. Le cose cambiarono attorno agli anni 30 quando alcune divine cinematografiche americane iniziarono a presentarsi con sopraccigli sottilissimi, arcuati a colpi di matita, e dopo un periodo di normalità, degenerarono in Italia negli anni Settanta quando Mina sconvolse tutti depilandoseli completamente, gesto insano seguito a ruota da una turba di donne che rendevano strade, uffici e negozi simili a tanti set di "Star Trek". Si pentirono poi tutte amaramente perché scoprirono a loro spese che i peli delle sopracciglia, a differenza degli altri, una volta eliminati rinascono in maniera lentissima; la fase di crescita dura uno-due mesi, seguita da quella di riposo che di solito dura più di un centinaio di giorni. Quindi, se la rasatura avviene proprio in quel periodo, ci vogliono dai sei agli otto mesi prima di ritrovarsele a posto.

In compenso nessuna civiltà né alcuna epoca storica ha mai amato molto i peli sulle gambe e sul volto delle donne; il detto "donna pelosa molto virtuosa" probabilmente significava che quella signorina o si rassegnava alla lametta, o "virtuosa" lo doveva rimanere per forza. Invece è tutt'ora abbastanza tollerata una lieve, lievissima peluria sul labbro superiore: donna baffuta sempre piaciuta.

Per eliminare da gambe e visi gli antiestetici pelacci, esistevano già nell'antichità strumenti terribili. Le antiche egizie si servivano di una pallina di resina appiccicosissima, che roteavano abili sotto il palmo della mano passandola velocemente sulla zona da disboscare. Il romano Plinio suggeriva invece di usare la decolorazione; tra le circa cento ricette da lui stese sull'argomento, è particolarmente curiosa quella a base di "bacche di sambuco mescolate con feccia d'aceto bruciata e olio di lentisco", che li faceva "diventar biondi in una notte". Le giapponesi invece si strofinavano sulle gambe pezzi di pelle di pescecane essiccata che, simile a cartavetro, li polverizzava.

In seguito, in Europa, per un lungo periodo le donne lasciarono quetare i peli delle loro gambe; questo grazie alla moda che imponeva vestiti lunghi e calze spesse: quindi chi li vedeva anche se c'erano? Ma con l'accorciarsi degli abiti e l'avvento delle calze trasparenti, il problema si ripresentò con tutta la sua drammaticità. Dato che le donne avevano poca dimestichezza coi rasoi maschili e regolarmente riuscivano a tagliarsi, oltre i peli, anche fette intere di polpaccio, iniziò in tutto il mondo una seria ricerca scientifica condotta da chimici e medici i quali tentavano in ogni modo di inventare pratiche pomate depilatorie.
La più celebre sino ai primi del Novecento fu la "Rusma turca"; Paolo Mantegazza, tuttologo nonché medico allora famosissimo, solo a sentirla nominare diventava furibondo, denunciando nei suoi scritti quei colleghi senza scrupoli i quali anziché cercare di risolvere il problema dell'irsutismo studiando il sangue o i metabolismi sballati delle loro pazienti, preferivano sfigurarle per sempre. E aveva ragione, dato che in un barattolino misura standard di polvere di rusma si celavano i seguenti ingredienti: calce viva gr. 15; orpimento in polvere gr. 6; salnitro gr. 2; liscivia caustica gr. 60; zolfo gr. 3. Occorreva poi unire al satanico impasto dell'acqua, farne una pappetta e stenderla sulla pelle sino a quando, come dicevano le istruzioni allegate, "non si avvertiva la pelle pizzicare": allora si raschiava via con una spatola d'osso. Solo che il "pizzicare" altro non era che un'inizio d'ustione dovuto alla calce e alla liscivia, mentre l'esotico nome di "orpimento" celava quello più prosaico di "solfuro d'arsenico".

E infine, nel 1945, sul serissimo Nuovo ricettario industriale edito da Hoepli, alla voce "depilatori meccanici o strappapeli" si trova l'antenata delle odierne strisce depilatorie: "Si unge prima la parte con olio di belladonna e dopo un'ora si pulisce con uno straccio umido di benzina, per sgrassare. Si applica il preparato composto da 20 gr. di soluzione viscosa di nitrocellulosa in alcole ed etere (collodio), 0,5 di olio di ricino, 5 d'acetone e 1 d'acetato d'amile, e quando secca dopo un'ora circa si strappa la pellicola formata. È atroce, ma le donne sopportano questo e altro (sic)."
Certo si poteva sostituire alla calce viva il più tranquillo solfidrato di calce, dal color verde bluastro; però, sempre come avvisa il Nuovo Ricettario Hoepli, "questo sviluppa un odore assai sgradevole che è impossibile eliminare per giorni e giorni anche in seguito all'applicazione."
Ma vuoi mettere un po' di puzza in cambio di gambe lisce come seta?



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