LA GUERRA DEL PESTO
di
Mitì Vigliero Lami


 

In questa estate distratta, che ha perso chissà dove l'alta pressione, il sole che abbronza e il mare calmo dove uno non vede l'ora di tuffarsi, e invece si limita a soffocarci con punte di umidità minimo all'86%, furoreggia la guerra del pesto. Traduzione per i foresti che in questi giorni villeggiano sulle nostre coste: una multinazionale alimentare ha immesso sul mercato un barattolo contenete pesto alla genovese prefatto e i tedeschi hanno immesso sul mercato un tipo di basilico nomato Genova. Mica è la prima a farlo, la ditta alimentare che distribuisce pesto; e credo che anche per il basilico non sia la prima volta che dei semazzi figli di madre ignota vengano classificati come genovesi. Ma stavolta c'è stata la rivolta, il Bisagno mormorò non passa lo straniero. E, miracolo, per una volta nella vita tutti nella Superba sono d'accordo: il pesto è mio e me lo gestisco io. Giusto, giustissimo. Però.

Da anni combatto strenuamente per genovesizzare l'Italia e l'Europa, in qualunque modo. Ci sono quelli che combattono per ottenere la pace mondiale, io in fondo mi accontento di meno. Credo arriverò a spedire anonime lettere contenenti spore di salsa di noci, e sto studiando la convinzione subliminale per convincere lo Stivale e il resto del mondo che Genova c'è, esiste, è bella, intelligente e pure piacevolmente edonistica, guarda un po'.

Il problema è che la conoscono in pochi e soprattutto per luoghi comuni. Italia uguale mandolino e pummaro', di basilico mica si parla mai, manco sulle televisioni nazionali che la saltano pure nelle previsioni del tempo. La pizza ha sempre soffocato la focaccia ("pizza bianca" la chiamano non solo a Roma ma pure a Torino, argh!), il carpaccio dell'Harris Bar veneziano ha perennemente surclassato le acciughe marinate al limone, il panetùn milanese ha strangolato il pandolce pur essendo nato dopo e per anni ho ascoltato soffrendo le pene dell'inferno dei tedeschi, francesi, austriaci gustare a San Fruttuoso di Camogli gli spaghetti alla marinara (con muscoli, aglio e prezzemolo) definendoli tra loro "alla napoletana".
Allora ho deciso che non m'importa un fico con quali ingredienti tu, foresto oltralpe, cucini i nostri piatti; l'importante è che tu li faccia, e impari a conoscere casa nostra. Così quando verrai qui a trovarci dirai: "Ma questo piatto è un'altra cosa!"

Se io insegno a fare il pesto a uno di Hannover, non potrò star tanto lì a begare sul tipo di basilico, grana, pinoli e olio che usa. L'importante è che lui sappia e sia conscio che sta usando NON il basilico di Pra o l'olio d'Imperia, ma che sta sperimentando una ricetta ALLA genovese.
"Alla", è questa la parola magica che bisogna mettersi in testa per chiarire; "alla" significa "alla moda di", "all'uso di". Certo che se qualcuno mi vende una pappetta verde battezzandola "Pesto Genovese", avrò tutti i diritti di martellargli dolcemente il capìno col pestello del mortaio.
Ma se io qui a Castelletto faccio la fonduta con la fontina, la farò "alla" valdostana, non sarà di certo una "fonduta valdostana" gustata guardando negli occhi il Monte Bianco. Così mi accadrà con uno zaziki all'aglio fabbricato a Marassi; mica vedo l'Acropoli dalla finestra, ma il sapore, l'idea di sapore, sarà importante e simile lo stesso.
E così mi sentirò più felice, e mi metterò in testa che "Che buona la fonduta, che buono lo zaziki: voglio proprio andare in Val d'Aosta e in Grecia per mangiarli bene".

Genovesi, impariamo a fare il gioco di Pollyanna, lettura della nostra infanzia, il gioco della contentezza. Cerchiamo cioè di capire e sfruttare al meglio per noi le cose negative. Il pesto in barattolo, pur essendo un succedaneo è tutta pubblicità per Genova (lo so che è difficile dirlo, ma proviamoci). Consideriamo il basilico chiamato Genova come un omaggio galante alla nostra città, identico al cocktail Shirley Temple o al gelato cioccolato e panna intitolato a donna Franca Ciampi.
Starà poi ovviamente a noi convincere tutti che qui da noi le cose (gastronomicamente parlando) sono altamente migliori e diverse, perché vere e originali: fra due anni Genova sarà capitale europea della cultura. L'arte della gastronomia è base della civile cultura dei popoli, arte non diversa dalla musica, dalla pittura, dalla danza e dalla poesia.
E allora conquistiamoli prendendoli per la gola questi copioni invidiosi, perché altro non sono; piantiamola una buona volta di raccontarci in segreto tra noi le "vere" ricette liguri e divulghiamole finalmente in modo ufficiale al mondo, senza coccolarle come segreti di stato con la pretesa del "chi vuole sapere com'è il vero pesto (e la vera salsa di noci, la vera cima, la vera farinata, la vera focaccia), venga qui ad assaggiarle, tanto a casa loro mica riescono a farlo...".

È vero, non ci riusciranno mai; ma almeno verrà loro la curiosità di venire a provarlo in loco, innamorandosi non solo della nostra cucina, ma anche di tutta la nostra civiltà.



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